La “Regola d’oro” non basta!

23 febbraio 2025 | 7^ Domenica del Tempo Ordinario – anno C |

La “Regola d’oro” non basta!

Quanti consigli nel vangelo di questa VII domenica del Tempo Ordinario, Pasqua della settimana.

Sono proprio necessarie tutte queste indicazioni? E poi, sono difficili, come poterle mettere in pratica?

Tra le tante indicazioni mi è cascato l’occhio su quella che nella tradizione è chiamata Regola d’oro.

Si tratta una legge unica nel suo genere, perché “sembra esprimere un’intuizione fulminante e nello stesso tempo accessibile ad ogni conoscenza e coscienza umana”, in quanto è presente in tutte le principali correnti religiose e sapienziali delle diverse culture del mondo. Per questo si può ben definire anche come la sintesi di codici etici universali.

La presenza della Regola d’oro risale, secondo recenti studi, già al 3000 a.C. nella tradizione vedica indiana, “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te; e desidera per gli altri quello che desideri e aspetti per te stesso.”

Tra le più antiche e note citazioni della Regola d’oro troviamo quelle del filosofo Confucio, vissuto in Cina nel periodo tra il VI e V secolo a.C.: “È il massimo dell’amabile benevolenza non fare agli altri ciò che non vorresti che essi facessero verso di te”

Nel giudaismo troviamo la Regola d’oro dal 200 a.C. nel libro di Tobia, ma sarà l’insegnamento di Gesù Cristo a formularla nella versione positiva: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.”

Gia questa sarebbe una bella indicazione se tutti gli uomini la mettessero in pratica, a noi che lo ascoltiamo, Gesù chiede molto di più: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono …

Gesù ci offre con questo insegnamento l’opportunità di separarci dal mondo, l’opportunità di diventare santi. Non certamente l’opportunità di farci vedere, di metterci in mostra, di farci dire quanto siamo bravi, bensì l’opportunità di dire al mondo che Dio è accanto a noi in ogni gesto d’amore gratuito; già perché di gesti d’amore in risposta a gesti d’amore sono tutti capaci, ma i gesti d’amore gratuiti sono solo per chi sceglie di imitare l’unico Maestro.

Qualcuno potrebbe pensare che sia impossibile, la prima lettura ci racconta la storia di come Davide fu capace di risparmiare il suo persecutore Saul. Storie d’altri tempi magari ma sempre storie dell’umanità. Penso anche all’incontro tra Giovanni Paolo II e il suo attentatore. Penso alla storia del musulmano Zijo Ribic che scampò al massacro nel 1992 quando un commando di serbi trucidò la sua famiglia. Lui, rimasto vivo per miracolo, ha testimoniato contro gli assassini ma ha trovato la forza di non odiarli. Neanche quando sono stati assolti a Belgrado. (Vedi l’articolo QUI)

Ma penso anche alle signore Garsia che hanno saputo perdonare e curare i carnefici, l’una del marito e l’altra del figlio. (Vedi l’articolo QUI)

Signore Gesù, ogni giorno siamo bersagliati da notizie violente che non fanno altro che innestare violenza. Quanti segni belli del tuo amore possiamo trovare nel mondo ma come è difficile intercettarli. Aiutaci Signore ad essere nel mondo testimoni del tuo Amore.

Prese il cieco per mano

VI settimana del Tempo Ordinario – I

MERCOLEDÌ 19 FEBBRAIO | prese il cieco per mano

Dal Vangelo di Marco (8,22-26)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quello, alzando gli occhi, diceva: “Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: “Non entrare nemmeno nel villaggio”.

COMMENTO

È pieno di tenerezza questo brano di vangelo. Qualcuno si prende cura del cieco e gli vuole così bene da accompagnarlo davanti a Gesù; Gesù prende il cieco per mano e lo conduce fuori dal villaggio, lontano dagli occhi dei curiosi, in un luogo in cui può vivere la sua intimità con questo uomo nel miglior modo possibile; non basta un primo contatto, Gesù si prende cura fino in fondo di lui, è necessario imporre di nuovo le mani affinché la guarigione sia completa.

Anche noi come questo cieco abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni verso Gesù, ma è faticoso riconoscere i propri limiti e lasciarsi guidare dagli altri. Ciò che ci invita a fare Gesù è anzitutto uscire dai villaggi in cui tutto è lecito. Confrontandoci con l’uomo medio delle nostre società, infatti, rischiamo davvero di sentirci a posto, ma se abbiamo il coraggio di andare un poco in disparte con Gesù ci accorgiamo di quanto cammino dobbiamo ancora fare. Resta poi sempre il rischio dell’illusione di essere ormai arrivati perché stiamo camminando con Gesù e quindi ci possiamo permettere di guardare gli altri e di giudicarli per ciò che vediamo. Se non abbiamo il coraggio di lasciarci costantemente guarire da Gesù rischiamo di vedere negli altri solo degli alberi che camminano e come tali giudicarli. Per riuscire a vedere chiaramente il cuore degli uomini e quindi provare quella stessa compassione che Gesù prova guardandoci, dobbiamo avere il coraggio di non mescolarci più alla massa ma di restare nel mondo come qualcosa di estraneo pur continuando a vivere in esso. Solo tenendo lo sguardo fisso al cuore di Gesù e godendo della sua costante compagnia potremo vivere accanto ai fratelli, commuoverci assieme a loro ed aiutarli così a uscire dal mondo per guardare il mondo con gli stessi occhi di Gesù. Facciamo quest’oggi l’esercizio di fidarci delle cure amorevoli di Gesù, abbandoniamoci tra le sue mani desiderose di salvarci.

Non comprendete ancora?

VI settimana del Tempo Ordinario – I

MARTEDÌ 18 FEBBRAIO 2025 | Non comprendete ancora?

Dal Vangelo di Marco (8,14-21)

In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora egli li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non comprendete ancora?”.

COMMENTO

Anche noi come i discepoli ci dimentichiamo facilmente che il Pane della vita è in mezzo a noi.

Ce ne dimentichiamo fisicamente quando in chiesa ci comportiamo come al bar o al mercato, chiacchierando e scherzando senza ricordarci neppure di fermarci davanti al tabernacolo a dialogare nel silenzio con Lui; ci fermiamo a chiacchierare con le pietre, i legni o le tele delle statue e dei quadri della Madonna e dei santi e non lo facciamo con il corpo vivo di Gesù presente nell’Eucaristia!

Ce ne dimentichiamo anche spiritualmente quando viviamo le nostre giornate a pensare a tutto fuorché a Lui. Poi quando siamo nelle difficoltà ci lamentiamo e lo imploriamo di darci un segno della sua presenza (a volte anche in modo non poco colorito).

“Ma non comprendete ancora?” ci chiede oggi Gesù. Siamo sinceri: No Gesù, non comprendiamo ancora! Facciamo fatica, è più facile lasciarsi vincere dal lievito dei farisei e di Erode, il lievito della scienza, della politica, del potere, del sapere … e no, non comprendiamo ancora questo tuo messaggio, così lontano dalle nostre capacità di pensare, non capiamo ancora questa tua presenza silenziosa. Riconosciamo quest’oggi tutta la nostra fatica di comprendere, riconosciamo quanto siamo lontani dal pensiero di Dio. Invochiamo il dono dello Spirito Santo perché con i suoi doni apra i nostri cuori e le nostre menti ai misteri divini. Amen

Sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro

V settimana del Tempo Ordinario – I

MERCOLEDÌ 12 FEBBRAIO | sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro

Dal Vangelo di Marco (7,14-23)

In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”.

Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: “Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?”. Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: “Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.

COMMENTO

Parlare di prescrizioni alimentari ai giorni nostri fa un po’ sorridere, nella nostra tradizione è rimasto qualche giorno di magro e ancor meno giorni di digiuno; ci è concesso mangiare tutto e, anche nei così detti “giorni di magro” siamo diventati abili mel cucinare gustosi pasti con gli alimenti concessi.

Detto questo … siamo tutti in cerca di dietologi e nutrizionisti che ci insegnino a mangiare nel modo corretto. Quindi le prescrizioni alimentari forse avevano un senso.

Ciò che Gesù oggi ci offre per la riflessione è il rischio esattamente opposto a quello che stiamo vivendo noi. Le prescrizioni alimentari rituali fanno bene al corpo ma, se non ne comprendiamo il significato ci offuscano la vista. Ciò che rovina le nostre relazioni, infatti, non è il nostro modo di alimentarci ma è ciò che esce dal nostro cuore. Quei sentimenti di rabbia, gelosia, invidia … che Gesù ben elenca rovinano la nostra umanità e ci rendono sempre più simili alle bestie. Oggi Gesù ci invita a curare il nostro corpo ma soprattutto a curare le nostre relazioni. Facciamo oggi l’esercizio di compiere un gesto buono nei confronti di qualcuno che ci vive accanto.

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

Martedì V settimana del Tempo Ordinario – I

11 FEBBRAIO 2025 | Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

Dal Vangelo di Marco (7,1-13)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”.

Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

COMMENTO

Fanno male le parole di Gesù quest’oggi. Fanno male perché sono proprio rivolte a noi che siamo del mestiere, a noi che ogni giorno ci sediamo a meditare la sua Parola, a noi che ogni giorno celebriamo i suoi misteri, a noi che ogni giorno ci cibiamo del suo Corpo eucaristico. Ed è un bene che facciano male perché solo così possiamo interrogarci e recuperare il sentiero segnato dai suoi passi.

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. […] Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.

Quante volte siamo più preoccupati di rispettare le abitudini, le tradizioni, le usanze senza interrogarci sul loro significato, magari mettendo da parte chi ha bisogno di noi, magari dimenticandoci delle persone che davvero ci vogliono bene! Non basta dire “dico un’Ave Maria per te” per dire che vogliamo bene a qualcuno. Non c’è nulla di più importante dell’amore donato ai fratelli, neppure l’Eucarestia della domenica. “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,  lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24). Così S. Vincenzo de Paoli scrive: “Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.” Se l’orazione e la ritualità non ci portano ad Amare il prossimo quelle orazioni e quei riti sono invani. Chiediamo a Dio quest’oggi il coraggio di lasciarci plasmare il cuore dall’Amore divino che ci raggiunge instancabile nelle preghiere, nelle celebrazioni e nelle tradizioni. Amen

La gente subito lo riconobbe

V settimana del Tempo Ordinario – I

LUNEDÌ 10 FEBBRAIO | la gente subito lo riconobbe

S. Scolastica, vergine

Dal Vangelo di Marco (6,53-56)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.

COMMENTO

C’è un forte desiderio nella folla che si raduna attorno a Gesù, un desiderio che esprime un bisogno; il desiderio è di “poter toccare anche solo il lembo del suo mantello”, il bisogno è quello di essere sanati. Essere sani è la condizione per essere liberi di intessere relazioni con gli altri, è la condizione quindi che ci permette di “essere qualcuno” nella società. Ciò che mette in moto tutta questa folla, ciò che attiva il desiderio di incontrare Gesù, è la certezza che lui può guarirli; una certezza che nasce dall’aver ascoltato la “bella notizia” (=vangelo) di coloro che lo hanno gia incontrato e hanno già potuto sperimentare la sua forza risanatrice. Questo “vangelo” si diffonde senza fatica e raggiunge ogni uomo ed ogni donna che hanno bisogno di quel messaggio.

Mi viene spontaneo interrogarmi sul perché oggi questo messaggio di salvezza fa così fatica a diffondersi? la risposta può essere duplice: o perché l’uomo di oggi non ha più bisogno di essere sanato nel corpo e nello spirito da Gesù, o perché questa “bella notizia” oggi non viene più testimoniata. Personalmente sono più propenso alla seconda motivazione, e questo mi mette personalmente in crisi. Facciamo quest’oggi l’esercizio di portare alla mente i nostri incontri con Gesù, di sperimentare di nuovo la sua forza risanatrice. Proviamo quindi a sigillare, nero su bianco, i sentimenti che nel nostro cuore si fanno strada. Possiamo, vogliamo, riusciamo a testimoniare questi sentimenti?

Chiamò a sé

IV settimana del Tempo Ordinario – I

GIOVEDÌ 06 FEBBRAIO | chiamò a sé

Dal Vangelo di Marco (6,7-13)

In quel tempo Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: “Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”. Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

COMMENTO

Non si può andare da nessuna parte se prima non siamo stati con Gesù. Non possiamo offrire al mondo l’Amore se prima non lo abbiamo vissuto. Ancora: non siamo noi a decidere ma è Gesù che ci chiama e ci invia.

Il testimone deve quindi essere leggero nel suo viaggio, leggero di cose materiali e leggero di pensieri. Scrivo queste parole dopo una giornata trascorsa nel preparare i miei incontri a scuola con i ragazzi di domani, se avessi la grande fede di cui parla il vangelo dovrei entrare in ciascuna classe con tanta leggerezza e … ascoltare ciò che lo Spirito mi suggerisce in quel momento. Certo mi è concesso il bastone casomai qualche “spirito impuro” cercasse di assalirmi anche se non penso che la legge lo permetta a scuola. Scherzi a parte, penso che per lasciarmi trasportare dallo Spirito nei miei incontri, soprattutto quelli ufficiali, a scuola, nella catechesi o nella predicazione, dovrei incrementare parecchio la mia preghiera, il mio stare con Colui che mi chiama a sé.

L’esercizio di quest’oggi potrebbe essere il riflettere su quanto nelle nostre azioni lasciamo lavorare lo Spirito e quanto invece lavoriamo solo noi.

https://open.spotify.com/episode/3CzfGJEfWcNGRhwrXuJsTg?si=CqDQaP7iRB-httdpkHQOsQ

Non è costui il falegname?

IV settimana del Tempo Ordinario – I

MERCOLEDÌ 05 FEBBRAIO | Non è costui il falegname?

Dal Vangelo di Marco (6,1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

COMMENTO

Più pensi di conoscerlo e meno riesci ad apprezzarlo. Sono i pregiudizi che ostacolano la nostra conoscenza reale di coloro che incontriamo. Per i nazaretani Gesù era semplicemente il figlio del falegname, non aveva né possibilità, né capacità, né autorità di poter parlare delle cose di Dio, tantomeno di compiere segni miracolosi. Anche per ciascuno di noi è facile cadere in questa trappola, sia nei confronti di coloro che incontriamo sulla via della vita sia nei confronti di Dio. La nostra conoscenza di Dio spesso è rimasta ferma ai disegni del catechismo della prima comunione o poco oltre e questo blocca a Dio la possibilità di mostrarsi per ciò che è. Il pensiero teologico ha proseguito il suo cammino, noi siamo cresciuti, la nostra possibilità di intendere le cose è cambiata, il mondo attraverso cui Dio si offre a me è altro … le lenti con cui mi rivolgo a Dio invece sono sempre le stesse. Se cerco di incasellare Dio dentro gli schemi che ho in testa farò la fine dei suoi compaesani: “lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Già perché se non glielo permettiamo Dio non può agire; se chiediamo a lui solo ciò che abbiamo in testa noi non gli lasciamo la libertà di portare nel mondo il suo Amore.

Chi mi ha toccato?

Martedì IV settimana del Tempo Ordinario – I

04 febbraio 2025

Dal Vangelo di Marco (5,21-43)

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?””. Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

COMMENTO

Che cosa tocca il cuore di Gesù? Il desiderio dell’uomo di vivere.

Quando sperimentiamo la morte o ne percepiamo la vicinanza, che sia fisica, sociale o psicologica umanamente gettiamo la spugna, per l’uomo infatti l’avvicinarsi della morte significa la certezza che la fine del dramma “vita” è ormai vicino.

Nel vangelo si parla di morte e Gesù vede in queste morti un’opportunità di vita. La morte sociale della donna emorroissa ha fatto crescere in lei il desiderio di Vita; la morte della figlioletta ha mosso nel padre il desiderio di Vita; la folla invece, estranea ai sentimenti di affetto per queste due figlie, deride questo desiderio e affossa ulteriormente la speranza.

Gesù riconosce in questo amore la fonte della Vita e “risorge” queste donne alla dignità di figlie amate dal Padre.

Quante volte anche noi di fronte a fallimenti educativi, medici, sociali o psicologici gettiamo la spugna lasciando alla morte la possibilità del sopravvento! Gesù oggi ci offre una possibilità sconosciuta alla mente umana, la possibilità della “fenice”, la possibilità di rinascere dalle ceneri, la possibilità di risorgere.

Si misero a pregarlo di andarsene

IV settimana del Tempo Ordinario – I

LUNEDÌ 03 FEBBRAIO

Dal Vangelo di Marco (5,1-20)

Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: “Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”. Gli diceva infatti: “Esci, spirito impuro, da quest’uomo!”. E gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. “Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti”. E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: “Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi”. Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.

I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.

Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

COMMENTO

Mi stupisce sempre di questo vangelo come i Geraseni esprimono la loro paura quando vedono il loro compaesano liberato dai demoni che lo abitavano.

È più facile esiliare chi ha bisogno di aiuto piuttosto che accoglierlo. Quell’uomo che era stato posseduto fa più paura ora che è stato risanato.

Quanti esiliati abitano le nostre città, i nostri paesi; finché restano degli “invisibili” nessuno si preoccupa, ma quando iniziano ad avvicinarsi ai luoghi che abitiamo o che viviamo allora sono un problema, iniziano a fare paura.

Ci sono tanti angeli, che, come Gesù, si avvicinano a questi “invisibili” e con il loro esserci cercano di fare ciò che possono, sono tutti coloro che vivono la Carità, sono coloro che lavorano ed investono il proprio tempo nel sociale. Queste azioni di vicinanza portano alla luce gli “invisibili” e cercano di reinserirli nella società, ma quante paure si sollevano da quella parte elitaria di società che si considera “brava gente”, anche tra i ferventi cattolici che tutte le domeniche scaldano i banchi di una chiesa: quanti bastoni tra le ruote, quanti impedimenti, burocratici e umani possiamo incontrare! Gesù oggi ci invita ad allargare i confini di quella che chiamiamo comunità sociale ma soprattutto di quella che chiamiamo comunità cristiana. Questi “invisibili” sono nostri fratelli e sorelle che chiedono soltanto un po’ di dignità. Creiamo opportunità, offriamo tempo, doniamo un po’ di noi stessi, una società più umana e vivibile inizia proprio da qui.