Riferirono tutto a Gesù

IV settimana del Tempo Ordinario – I

SABATO 08 FEBBRAIO | riferirono tutto a Gesù

Dal Vangelo di Marco (6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.

Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

COMMENTO

Gli apostoli rientrano dalla loro prima missione e l’entusiasmo è superiore dalla stanchezza. Gesù conosce ciò che hanno fatto e sa che hanno bisogno di riposo ma soprattutto sa che hanno bisogno di essere ascoltati.

Che bello sarebbe se anche tutti noi incontrandoci potessimo sentire il desiderio di esprimere le cose belle che la vita ci ha regalato, ci viene sempre più semplice lamentarci pur sapendo che le lamentele non sistemano i problemi, al contrario invece riportare alla mente e condividere le cose belle che abbiamo vissuto ci aiuterebbe a rafforzare le nostre forze positive per affrontare l’ordinario della vita.

Per quest’oggi compiamo l’esercizio di fare l’elenco delle belle cose che oggi ci sono accadute e ringraziamo il Signore.

Quel Giovanni è risorto!

IV settimana del Tempo Ordinario – I

VENEDÌ 07 FEBBARIO | Quel Giovanni … è risorto!

Dal Vangelo di Marco (6,14-29)

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: “Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi”. Altri invece dicevano: “È Elia”. Altri ancora dicevano: “È un profeta, come uno dei profeti”. Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: “Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!”.

Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: “Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello”. Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.

Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”. E le giurò più volte: “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”. Ella uscì e disse alla madre: “Che cosa devo chiedere?”. Quella rispose: “La testa di Giovanni il Battista”. E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: “Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista”. Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

COMMENTO

Il re Erode è incuriosito e allo stesso tempo spaventato. Le voci che circolano circa quel Gesù e la sua presunta identità risvegliano in lui un fantasma del passato; il fantasma di un’azione compiuta in un momento di ebrezza di potere e di vino, sì perché a lui quel Giovanni piaceva, lo ascoltava volentieri, anche se non era disposto a mettere in pratica i suoi suggerimenti, eppure, in quell’istante di poca lucidità lo ha fatto uccidere. Ed ora quel Gesù di cui tutti parlano risveglia in lui questo ricordo e, anche se a distanza di anni, sembra rendersi conto di ciò che ha compiuto.

I fantasmi del nostro passato a volte tornano presenti nella nostra vita, a volte ci aiutano a chiarire alcune situazioni che nel passato ci erano sembrate oscure e poco comprensibili, a volte invece risvegliano in noi paure e delusioni.

Penso che l’incontro con Gesù debba essere vissuto da chiunque come un’opportunità per lasciare il passato alle spalle; infatti, poggiando consapevolmente i piedi su quel passato che ci ha portato ad essere ciò che siamo, Gesù ci invita a metterci in viaggio dietro di lui verso un futuro ricco di Speranza. Quest’oggi facciamo l’esercizio di accoglierci per ciò che siamo e di metterci nelle mani di Dio per viaggiare con lui verso la santità.

Chiamò a sé

IV settimana del Tempo Ordinario – I

GIOVEDÌ 06 FEBBRAIO | chiamò a sé

Dal Vangelo di Marco (6,7-13)

In quel tempo Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: “Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”. Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

COMMENTO

Non si può andare da nessuna parte se prima non siamo stati con Gesù. Non possiamo offrire al mondo l’Amore se prima non lo abbiamo vissuto. Ancora: non siamo noi a decidere ma è Gesù che ci chiama e ci invia.

Il testimone deve quindi essere leggero nel suo viaggio, leggero di cose materiali e leggero di pensieri. Scrivo queste parole dopo una giornata trascorsa nel preparare i miei incontri a scuola con i ragazzi di domani, se avessi la grande fede di cui parla il vangelo dovrei entrare in ciascuna classe con tanta leggerezza e … ascoltare ciò che lo Spirito mi suggerisce in quel momento. Certo mi è concesso il bastone casomai qualche “spirito impuro” cercasse di assalirmi anche se non penso che la legge lo permetta a scuola. Scherzi a parte, penso che per lasciarmi trasportare dallo Spirito nei miei incontri, soprattutto quelli ufficiali, a scuola, nella catechesi o nella predicazione, dovrei incrementare parecchio la mia preghiera, il mio stare con Colui che mi chiama a sé.

L’esercizio di quest’oggi potrebbe essere il riflettere su quanto nelle nostre azioni lasciamo lavorare lo Spirito e quanto invece lavoriamo solo noi.

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Non è costui il falegname?

IV settimana del Tempo Ordinario – I

MERCOLEDÌ 05 FEBBRAIO | Non è costui il falegname?

Dal Vangelo di Marco (6,1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

COMMENTO

Più pensi di conoscerlo e meno riesci ad apprezzarlo. Sono i pregiudizi che ostacolano la nostra conoscenza reale di coloro che incontriamo. Per i nazaretani Gesù era semplicemente il figlio del falegname, non aveva né possibilità, né capacità, né autorità di poter parlare delle cose di Dio, tantomeno di compiere segni miracolosi. Anche per ciascuno di noi è facile cadere in questa trappola, sia nei confronti di coloro che incontriamo sulla via della vita sia nei confronti di Dio. La nostra conoscenza di Dio spesso è rimasta ferma ai disegni del catechismo della prima comunione o poco oltre e questo blocca a Dio la possibilità di mostrarsi per ciò che è. Il pensiero teologico ha proseguito il suo cammino, noi siamo cresciuti, la nostra possibilità di intendere le cose è cambiata, il mondo attraverso cui Dio si offre a me è altro … le lenti con cui mi rivolgo a Dio invece sono sempre le stesse. Se cerco di incasellare Dio dentro gli schemi che ho in testa farò la fine dei suoi compaesani: “lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Già perché se non glielo permettiamo Dio non può agire; se chiediamo a lui solo ciò che abbiamo in testa noi non gli lasciamo la libertà di portare nel mondo il suo Amore.

Chi mi ha toccato?

Martedì IV settimana del Tempo Ordinario – I

04 febbraio 2025

Dal Vangelo di Marco (5,21-43)

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?””. Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

COMMENTO

Che cosa tocca il cuore di Gesù? Il desiderio dell’uomo di vivere.

Quando sperimentiamo la morte o ne percepiamo la vicinanza, che sia fisica, sociale o psicologica umanamente gettiamo la spugna, per l’uomo infatti l’avvicinarsi della morte significa la certezza che la fine del dramma “vita” è ormai vicino.

Nel vangelo si parla di morte e Gesù vede in queste morti un’opportunità di vita. La morte sociale della donna emorroissa ha fatto crescere in lei il desiderio di Vita; la morte della figlioletta ha mosso nel padre il desiderio di Vita; la folla invece, estranea ai sentimenti di affetto per queste due figlie, deride questo desiderio e affossa ulteriormente la speranza.

Gesù riconosce in questo amore la fonte della Vita e “risorge” queste donne alla dignità di figlie amate dal Padre.

Quante volte anche noi di fronte a fallimenti educativi, medici, sociali o psicologici gettiamo la spugna lasciando alla morte la possibilità del sopravvento! Gesù oggi ci offre una possibilità sconosciuta alla mente umana, la possibilità della “fenice”, la possibilità di rinascere dalle ceneri, la possibilità di risorgere.

Si misero a pregarlo di andarsene

IV settimana del Tempo Ordinario – I

LUNEDÌ 03 FEBBRAIO

Dal Vangelo di Marco (5,1-20)

Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: “Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”. Gli diceva infatti: “Esci, spirito impuro, da quest’uomo!”. E gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. “Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti”. E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: “Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi”. Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.

I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.

Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

COMMENTO

Mi stupisce sempre di questo vangelo come i Geraseni esprimono la loro paura quando vedono il loro compaesano liberato dai demoni che lo abitavano.

È più facile esiliare chi ha bisogno di aiuto piuttosto che accoglierlo. Quell’uomo che era stato posseduto fa più paura ora che è stato risanato.

Quanti esiliati abitano le nostre città, i nostri paesi; finché restano degli “invisibili” nessuno si preoccupa, ma quando iniziano ad avvicinarsi ai luoghi che abitiamo o che viviamo allora sono un problema, iniziano a fare paura.

Ci sono tanti angeli, che, come Gesù, si avvicinano a questi “invisibili” e con il loro esserci cercano di fare ciò che possono, sono tutti coloro che vivono la Carità, sono coloro che lavorano ed investono il proprio tempo nel sociale. Queste azioni di vicinanza portano alla luce gli “invisibili” e cercano di reinserirli nella società, ma quante paure si sollevano da quella parte elitaria di società che si considera “brava gente”, anche tra i ferventi cattolici che tutte le domeniche scaldano i banchi di una chiesa: quanti bastoni tra le ruote, quanti impedimenti, burocratici e umani possiamo incontrare! Gesù oggi ci invita ad allargare i confini di quella che chiamiamo comunità sociale ma soprattutto di quella che chiamiamo comunità cristiana. Questi “invisibili” sono nostri fratelli e sorelle che chiedono soltanto un po’ di dignità. Creiamo opportunità, offriamo tempo, doniamo un po’ di noi stessi, una società più umana e vivibile inizia proprio da qui.

Affamati di relazioni vere

2 febbraio 2025 | Presentazione di Gesù al Tempio |

Affamati di relazioni vere

Andiamo in pace incontro al Signore

È con queste parole che è iniziata la celebrazione di questa Domenica in cui ricordiamo la Presentazione di Gesù al Tempio.

Sono le parole che esprimono i sentimenti e i desideri di Maria e di Giuseppe mentre, secondo la tradizione dei loro padri, portano il loro figlio primogenito al Tempio per offrirlo al Signore; sono le parole che esprimono i sentimenti e i desideri degli anziani Simeone ed Anna che ogni giorno hanno dedicato la loro vita all’incontro con Dio; sono le parole che esprimono i sentimenti e i desideri di ogni credente che nella propria vita cerca di muoversi nella direzione giusta per poter vedere e incontrare il suo Signore e Creatore.

C’è quindi un desiderio insito nel cuore di tutti questi uomini e di tutte queste donne, il desiderio di incontrare quell’unico Dio che può donare loro pace e serenità.

È quindi un desiderio che muove il credente nel cammino di fede. Proviamo a chiederci cosa ha mosso quest’oggi il cammino che ci ha portati qui in chiesa a questa celebrazione. Riportiamo alla mente che aver fede nel Dio di Gesù Cristo è una questione di relazione tra due Io che si desiderano e si cercano.

L’uomo di oggi, l’uomo che sta pianificando di andare a vivere sulla Luna e sogna e sperimenta i viaggi nello spazio profondo, può oggi avere dentro di sé il desiderio di incontrare Dio? Potremmo anche chiederci: il Dio di Gesù Cristo ha ancora qualcosa da offrire all’uomo di oggi?

Io penso di sì; forse non abbiamo bisogno di ciò che offriva nei decenni passati o nelle forme in cui veniva offerto ma certamente di qualcosa anche l’uomo di oggi necessita da Dio.

Penso che la prima fame dell’uomo di oggi sia una fame di relazioni vere.

La fede è una relazione d’amore e come tale si basa su un atto di fiducia. Anna e Simeone hanno avuto fiducia tutta la vita nella certezza di incontrare il Salvatore del loro popolo; Maria e Giuseppe hanno avuto fiducia in quel Dio che ha chiesto a loro una prova di coraggio nell’accoglierlo come figlio. Sulla fiducia si fondano anche le nostre umane relazioni di amore e tutti noi sperimentiamo come questa fiducia è fragile, come basta poco o nulla per perderla; la fiducia è proprio come quella piccola luce che quest’oggi ci viene consegnata e che ci ricorda la fiammella della candela del battesimo, una piccola fiammella che se non viene protetta e alimentata costantemente si spegne e ci abbandona alle tenebre del mondo, se invece curata può guidarci verso la meta della nostra vita, verso la realizzazione del nostro più intimo desiderio che è l’incontro con il Cristo.

In questa festa, dunque, facciamo esperienza di quanto le nostre relazioni possano essere fragili anche se i nostri atteggiamenti ci fanno apparire grandi e forti; l’immagine di Dio in questa candela invece ci offre la grandezza del Creatore nella fragilità di una fiamma che porta calore e offre una via a chi desidera percorrerla. Ti preghiamo quest’oggi Signore perché ogni uomo e ogni donna abbia l’opportunità di alimentare il desiderio di Te. Quelle piccole fiammelle d’Amore che abitano la terra possano incontrare le lampade spente e vuote dell’uomo stanco e sfiduciato o dell’uomo troppo pieno di sé, possano alimentarle ed accenderle nella Carità fraterna. Ogni uomo e ogni donna possa così sentirsi amato, accolto e cercato da te, Padre, Creatore e Redentore di tutto quanto esiste. Amen.

Non ti importa che siamo perduti?

III settimana del Tempo Ordinario – I

SABATO 01 FEBBRAIO

Dal Vangelo di Marco (4,35-41)

In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.

COMMENTO

Gesù ha appena terminato una lunga catechesi alla folla e ai discepoli, possiamo immaginare che sia stanco, possiamo capire perché si è addormentato lungo il viaggio. Le cose però cambiano se diamo un’occhiata a quella che l’archeologia biblica ha riconosciuto come una barca di pescatori del tempo di Gesù. Una piccola barchetta su cui a malapena ci si poteva stare in piedi per raccogliere le reti, figuriamoci se Gesù poteva permettersi di mettersi comodo a dormire in fra le gambe di chi era indaffarato a governare la barca in mezzo ad una tempesta!

Le cose cambiano perché ci allargano il punto di vista; a chi di noi non è capitato di sentirsi completamente abbandonato da Dio in un momento di difficoltà; chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha alzato gli occhi al cielo urlando contro Dio la domanda delle domande: Dio dove sei?

L’atteggiamento di Gesù ci spiazza, sembra quasi che aspetti la nostra richiesta per intervenire: se davvero conoscesse i bisogni dell’uomo, così come le scritture dicono, saprebbe che stiamo per affondare, perché non fa qualcosa? Lui è lì, mette a repentaglio la sua vita ponendola nelle nostre mani, lui ha la certezza che noi abbiamo le forze per affrontare le tempeste della vita e si permette di addormentarsi.

Come è possibile questo? Lui che tutto può, lui al quale anche il vento e il mare obbediscono, si mette nelle nostre mani!

La vita di Dio è nelle nostre mani, la sua presenza nel mondo dipende unicamente da ciascuno di noi. Lui può tutto ma senza di noi non può fare nulla. Tutto ciò è imbarazzante e allo stesso tempo stimolante! Siediti quest’oggi assieme a Gesù in questa barca che è la Chiesa, contempla la sua estrema fiducia nei tuoi confronti e prendi consapevolezza dei sentimenti che nascono in te.

Così è il regno di Dio

III settimana del Tempo Ordinario – I

VENEDÌ 31 GENNAIO

San Giovanni Bosco, presbitero

Dal Vangelo di Marco (4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.

Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

COMMENTO

Quando pensiamo a Dio pensiamo sempre in grande: pensiamo all’infinito, all’eterno, all’onnipotente … Gesù ci presenta oggi il regno di Dio e lo fa facendoci pensare ad una delle cose più piccole che possiamo vedere: un seme. Se ci pensiamo bene in un seme è racchiusa tutta l’energia dell’albero maturo, in quel seme possiamo già vedere i suoi frutti, in quel seme possiamo già sentire il profumo dei suoi fiori, eppure è un piccolo seme che ha bisogno di un terreno accogliente per poter esprimere tutta la sua potenzialità. Così è il regno di Dio. Che lo vogliamo o no il regno di Dio è, non c’è bisogno che nessuna creatura si impegni per realizzarlo, ciò che serve invece è accoglierlo, soltanto nell’accoglienza infatti potremo godere dei suoi frutti, del suo profumo, della sua ombra. Facciamo oggi l’esercizio di sederci semplicemente nel silenzio e accogliamo così il Regno di Dio che abita le nostre esistenze. Amen

La lampada … sul candelabro

III settimana del Tempo Ordinario – I

GIOVEDÌ 30 GENNAIO

Dal Vangelo di Marco (4,21-25)

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: “Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!”.

Diceva loro: “Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”.

COMMENTO

Gesù, la luce vera è venuta nel mondo per dare luce al mondo. Noi che lo abbiamo conosciuto, noi che ci chiamiamo suoi seguaci, noi che ascoltiamo i suoi insegnamenti abbiamo il dovere di far risplendere questa luce tra le tenebre del mondo. Ma lo facciamo davvero?

La luce illumina e porta vita, quando noi offriamo Gesù Cristo al mondo siamo generatori di fede, di speranza e di carità?

Dobbiamo fare attenzione a quello che ascoltiamo, quelle parole illuminano la nostra vita, la trasfigurano. Quando abbiamo accolto la Parola e abbiamo il coraggio di dichiararci “cristiani” tutto di noi è pubblico, non c’è nulla che possiamo tenere per noi, ogni nostra azione, ogni nostra scelta, ogni nostra parola e ogni nostro pensiero sarà per chi ci incontra riflesso della Luce creatrice. Essere cristiani è una scelta di vita che ti mette necessariamente in prima linea: non si può essere cristiani part time. Preghiamo quest’oggi perché ogni uomo e ogni donna che hanno accolto nella propria vita la vera Luce che è Cristo siano riflesso autentico: le loro esistenze siano trasfigurazione dell’Amore del Padre per ogni creatura. Amen