La “Regola d’oro” non basta!

23 febbraio 2025 | 7^ Domenica del Tempo Ordinario – anno C |

La “Regola d’oro” non basta!

Quanti consigli nel vangelo di questa VII domenica del Tempo Ordinario, Pasqua della settimana.

Sono proprio necessarie tutte queste indicazioni? E poi, sono difficili, come poterle mettere in pratica?

Tra le tante indicazioni mi è cascato l’occhio su quella che nella tradizione è chiamata Regola d’oro.

Si tratta una legge unica nel suo genere, perché “sembra esprimere un’intuizione fulminante e nello stesso tempo accessibile ad ogni conoscenza e coscienza umana”, in quanto è presente in tutte le principali correnti religiose e sapienziali delle diverse culture del mondo. Per questo si può ben definire anche come la sintesi di codici etici universali.

La presenza della Regola d’oro risale, secondo recenti studi, già al 3000 a.C. nella tradizione vedica indiana, “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te; e desidera per gli altri quello che desideri e aspetti per te stesso.”

Tra le più antiche e note citazioni della Regola d’oro troviamo quelle del filosofo Confucio, vissuto in Cina nel periodo tra il VI e V secolo a.C.: “È il massimo dell’amabile benevolenza non fare agli altri ciò che non vorresti che essi facessero verso di te”

Nel giudaismo troviamo la Regola d’oro dal 200 a.C. nel libro di Tobia, ma sarà l’insegnamento di Gesù Cristo a formularla nella versione positiva: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.”

Gia questa sarebbe una bella indicazione se tutti gli uomini la mettessero in pratica, a noi che lo ascoltiamo, Gesù chiede molto di più: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono …

Gesù ci offre con questo insegnamento l’opportunità di separarci dal mondo, l’opportunità di diventare santi. Non certamente l’opportunità di farci vedere, di metterci in mostra, di farci dire quanto siamo bravi, bensì l’opportunità di dire al mondo che Dio è accanto a noi in ogni gesto d’amore gratuito; già perché di gesti d’amore in risposta a gesti d’amore sono tutti capaci, ma i gesti d’amore gratuiti sono solo per chi sceglie di imitare l’unico Maestro.

Qualcuno potrebbe pensare che sia impossibile, la prima lettura ci racconta la storia di come Davide fu capace di risparmiare il suo persecutore Saul. Storie d’altri tempi magari ma sempre storie dell’umanità. Penso anche all’incontro tra Giovanni Paolo II e il suo attentatore. Penso alla storia del musulmano Zijo Ribic che scampò al massacro nel 1992 quando un commando di serbi trucidò la sua famiglia. Lui, rimasto vivo per miracolo, ha testimoniato contro gli assassini ma ha trovato la forza di non odiarli. Neanche quando sono stati assolti a Belgrado. (Vedi l’articolo QUI)

Ma penso anche alle signore Garsia che hanno saputo perdonare e curare i carnefici, l’una del marito e l’altra del figlio. (Vedi l’articolo QUI)

Signore Gesù, ogni giorno siamo bersagliati da notizie violente che non fanno altro che innestare violenza. Quanti segni belli del tuo amore possiamo trovare nel mondo ma come è difficile intercettarli. Aiutaci Signore ad essere nel mondo testimoni del tuo Amore.

Quanti pani avete?

V settimana del Tempo Ordinario – I

SABATO 15 FEBBRAIO | Quanti pani avete?

Dal Vangelo di Marco (8,1-10)

In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro: “Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano”. Gli risposero i suoi discepoli: “Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?”. Domandò loro: “Quanti pani avete?”. Dissero: “Sette”. Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli. Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò. Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.

COMMENTO

Di fronte ai grandi problemi che ci sono nel mondo anche a noi viene facile rispondere come gli apostoli: cosa posso fare io per ridurre la fame nel mondo, per ridurre l’inquinamento, per far finire le guerre, per ridurre la povertà, per fermare lo scioglimento dei ghiacci, per fermare lo sfruttamento dei minori …

Gesù risponde ai suoi discepoli: che cosa hai a disposizione?

Che saranno mai sette pani davanti ad una folla affamata?

Madre Teresa di Calcutta diceva: “Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano ma senza quella goccia l’oceano sarebbe più piccolo”.

Questo è proprio ciò che ci chiede Gesù quest’oggi. Da soli non potremmo mai risolvere i problemi dell’umanità ma se ciascuno di noi mette ciò che è a disposizione dell’altro, anziché pensare solo alla propria pancia, allora qualcuno, se da questa parte o dall’altra del mondo e se nel nostro tempo o nel futuro non importa, qualcuno certamente troverà sollievo.

Il Vangelo di oggi, dunque, ci sprona a conoscere ciò che possiamo mettere a disposizione dell’altro e a fare un piccolo passo indietro con il nostro Ego aprendo gli occhi per vedere non ciò che gli altri devono fare ma cosa io posso fare. Nell’esercizio di oggi proviamo a mettere a fuoco le nostre capacità e proviamo a pensare come metterle a disposizione del prossimo.

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Il Signore designò altri settantadue e li inviò

V settimana del Tempo Ordinario – I

VENERDÌ 14 FEBBARIO | Il Signore designò altri settantadue e li inviò

Ss. Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo – Patroni d’Europa (festa)

Dal Vangelo di Luca (10,1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.

COMMENTO

L’amore è il motore della vita” – Già i filosofi greci avevano formulato questo concetto, forse Dante per primo lo formula in modo poetico. In questo giorno dedicato a tutti gli innamorati non possiamo che iniziare così la nostra riflessione.

Oggi la liturgia ricorda i Santi Cirillo, vescovo e Metodio, monaco. Due fratelli che hanno fatto della loro vita uno prezioso strumento di evangelizzazione per l’Europa dell’Est, per questo li ricordiamo come patroni d’Europa. Sempre in questo giorno però la pietà popolare ricorda San Valentino, della cui storia non si conosce nulla tranne che probabilmente sia stato vescovo di Terni.

Che cosa hanno in comune questi santi e come possiamo rifarci al vangelo che abbiamo oggi ascoltato?

La risposta penso sia così semplice che pare scontata: se non fosse per l’Amore di queste persone nei confronti di Dio, noi oggi non saremo qui a ricordarle.

L’unica grande forza degli inviati da Dio è l’Amore che li ha scelti e riconosciuti come destinatari delle proprie attenzioni. Nessuno potrebbe testimoniare l’Amore senza averne fatto esperienza. Ciò che ci mette in moto come persone avvicinandoci agli altri è solo l’amore nei loro confronti.

Cosa sprona un ragazzo od una ragazza, dopo una intensa giornata di lavoro, a vestirsi elegante per raggiungere colui o colei che ritiene in quel momento essere la persona più importante della sua vita?

Cosa spinge un papà od una mamma, dopo una faticosa giornata di lavoro, a passare del tempo con i propri figli, giocando con loro, aitandoli nei compiti, ascoltandoli nei racconti delle loro giornate o restando svegli in attesa del loro rientro notturno?

Cosa spinge uomini e donne a lasciare la propria casa, i propri amici, le proprie passioni per andare in territori sconosciuti a portare il Vangelo?

La risposta è una sola per tutte le domande: l’Amore. Proviamo oggi a chiederci: quanto è il nostro Amore per Dio? quanto sono disposto a mettere in gioco della mia vita per testimoniarlo?

Il demonio è uscito da tua figlia

V settimana del Tempo Ordinario – I

GIOVEDÌ 13 FEBBRAIO | il demonio è uscito da tua figlia

Dal Vangelo di Marco (7,24-30)

In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: “Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma lei gli replicò: “Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Allora le disse: “Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia”. Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

COMMENTO

Chi è questa donna Siro-fenicia?

Sicuramente non è un figlio del popolo di Israele e sicuramente non è una discepola di Gesù. Questa donna è solo una mamma disperata per la salute della sua bambina.

Non sappiamo se conosce Gesù, sappiamo solo che si riferisce a lui così come si potrebbe riferire ad un santone qualunque.

La reazione di Gesù è molto forte, arriva fino ad offendere questa donna appartenente al popolo nemico di Israele. Forse vuole davvero testare l’amore di questa donna per la sua bambina, fino a che punto è disposta a spingersi?

La disperazione di questa donna è tale da essere disposta ad accettare l’umiliazione pur di salvare la sua bambina. Forse questa donna non avrà fede nel Dio degli ebrei né in Gesù di Nazareth ma certamente crede nell’Amore. Gesù non può che prendere atto di questa fede. Proviamo a pensare su cosa fanno forza le nostre preghiere e proviamo a chiederci se il cuore della nostra fede è l’Amore.

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

Martedì V settimana del Tempo Ordinario – I

11 FEBBRAIO 2025 | Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

Dal Vangelo di Marco (7,1-13)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”.

Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

COMMENTO

Fanno male le parole di Gesù quest’oggi. Fanno male perché sono proprio rivolte a noi che siamo del mestiere, a noi che ogni giorno ci sediamo a meditare la sua Parola, a noi che ogni giorno celebriamo i suoi misteri, a noi che ogni giorno ci cibiamo del suo Corpo eucaristico. Ed è un bene che facciano male perché solo così possiamo interrogarci e recuperare il sentiero segnato dai suoi passi.

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. […] Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.

Quante volte siamo più preoccupati di rispettare le abitudini, le tradizioni, le usanze senza interrogarci sul loro significato, magari mettendo da parte chi ha bisogno di noi, magari dimenticandoci delle persone che davvero ci vogliono bene! Non basta dire “dico un’Ave Maria per te” per dire che vogliamo bene a qualcuno. Non c’è nulla di più importante dell’amore donato ai fratelli, neppure l’Eucarestia della domenica. “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,  lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24). Così S. Vincenzo de Paoli scrive: “Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.” Se l’orazione e la ritualità non ci portano ad Amare il prossimo quelle orazioni e quei riti sono invani. Chiediamo a Dio quest’oggi il coraggio di lasciarci plasmare il cuore dall’Amore divino che ci raggiunge instancabile nelle preghiere, nelle celebrazioni e nelle tradizioni. Amen

Chi mi ha toccato?

Martedì IV settimana del Tempo Ordinario – I

04 febbraio 2025

Dal Vangelo di Marco (5,21-43)

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?””. Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

COMMENTO

Che cosa tocca il cuore di Gesù? Il desiderio dell’uomo di vivere.

Quando sperimentiamo la morte o ne percepiamo la vicinanza, che sia fisica, sociale o psicologica umanamente gettiamo la spugna, per l’uomo infatti l’avvicinarsi della morte significa la certezza che la fine del dramma “vita” è ormai vicino.

Nel vangelo si parla di morte e Gesù vede in queste morti un’opportunità di vita. La morte sociale della donna emorroissa ha fatto crescere in lei il desiderio di Vita; la morte della figlioletta ha mosso nel padre il desiderio di Vita; la folla invece, estranea ai sentimenti di affetto per queste due figlie, deride questo desiderio e affossa ulteriormente la speranza.

Gesù riconosce in questo amore la fonte della Vita e “risorge” queste donne alla dignità di figlie amate dal Padre.

Quante volte anche noi di fronte a fallimenti educativi, medici, sociali o psicologici gettiamo la spugna lasciando alla morte la possibilità del sopravvento! Gesù oggi ci offre una possibilità sconosciuta alla mente umana, la possibilità della “fenice”, la possibilità di rinascere dalle ceneri, la possibilità di risorgere.

Si misero a pregarlo di andarsene

IV settimana del Tempo Ordinario – I

LUNEDÌ 03 FEBBRAIO

Dal Vangelo di Marco (5,1-20)

Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: “Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”. Gli diceva infatti: “Esci, spirito impuro, da quest’uomo!”. E gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. “Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti”. E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: “Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi”. Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.

I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.

Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

COMMENTO

Mi stupisce sempre di questo vangelo come i Geraseni esprimono la loro paura quando vedono il loro compaesano liberato dai demoni che lo abitavano.

È più facile esiliare chi ha bisogno di aiuto piuttosto che accoglierlo. Quell’uomo che era stato posseduto fa più paura ora che è stato risanato.

Quanti esiliati abitano le nostre città, i nostri paesi; finché restano degli “invisibili” nessuno si preoccupa, ma quando iniziano ad avvicinarsi ai luoghi che abitiamo o che viviamo allora sono un problema, iniziano a fare paura.

Ci sono tanti angeli, che, come Gesù, si avvicinano a questi “invisibili” e con il loro esserci cercano di fare ciò che possono, sono tutti coloro che vivono la Carità, sono coloro che lavorano ed investono il proprio tempo nel sociale. Queste azioni di vicinanza portano alla luce gli “invisibili” e cercano di reinserirli nella società, ma quante paure si sollevano da quella parte elitaria di società che si considera “brava gente”, anche tra i ferventi cattolici che tutte le domeniche scaldano i banchi di una chiesa: quanti bastoni tra le ruote, quanti impedimenti, burocratici e umani possiamo incontrare! Gesù oggi ci invita ad allargare i confini di quella che chiamiamo comunità sociale ma soprattutto di quella che chiamiamo comunità cristiana. Questi “invisibili” sono nostri fratelli e sorelle che chiedono soltanto un po’ di dignità. Creiamo opportunità, offriamo tempo, doniamo un po’ di noi stessi, una società più umana e vivibile inizia proprio da qui.

Affamati di relazioni vere

2 febbraio 2025 | Presentazione di Gesù al Tempio |

Affamati di relazioni vere

Andiamo in pace incontro al Signore

È con queste parole che è iniziata la celebrazione di questa Domenica in cui ricordiamo la Presentazione di Gesù al Tempio.

Sono le parole che esprimono i sentimenti e i desideri di Maria e di Giuseppe mentre, secondo la tradizione dei loro padri, portano il loro figlio primogenito al Tempio per offrirlo al Signore; sono le parole che esprimono i sentimenti e i desideri degli anziani Simeone ed Anna che ogni giorno hanno dedicato la loro vita all’incontro con Dio; sono le parole che esprimono i sentimenti e i desideri di ogni credente che nella propria vita cerca di muoversi nella direzione giusta per poter vedere e incontrare il suo Signore e Creatore.

C’è quindi un desiderio insito nel cuore di tutti questi uomini e di tutte queste donne, il desiderio di incontrare quell’unico Dio che può donare loro pace e serenità.

È quindi un desiderio che muove il credente nel cammino di fede. Proviamo a chiederci cosa ha mosso quest’oggi il cammino che ci ha portati qui in chiesa a questa celebrazione. Riportiamo alla mente che aver fede nel Dio di Gesù Cristo è una questione di relazione tra due Io che si desiderano e si cercano.

L’uomo di oggi, l’uomo che sta pianificando di andare a vivere sulla Luna e sogna e sperimenta i viaggi nello spazio profondo, può oggi avere dentro di sé il desiderio di incontrare Dio? Potremmo anche chiederci: il Dio di Gesù Cristo ha ancora qualcosa da offrire all’uomo di oggi?

Io penso di sì; forse non abbiamo bisogno di ciò che offriva nei decenni passati o nelle forme in cui veniva offerto ma certamente di qualcosa anche l’uomo di oggi necessita da Dio.

Penso che la prima fame dell’uomo di oggi sia una fame di relazioni vere.

La fede è una relazione d’amore e come tale si basa su un atto di fiducia. Anna e Simeone hanno avuto fiducia tutta la vita nella certezza di incontrare il Salvatore del loro popolo; Maria e Giuseppe hanno avuto fiducia in quel Dio che ha chiesto a loro una prova di coraggio nell’accoglierlo come figlio. Sulla fiducia si fondano anche le nostre umane relazioni di amore e tutti noi sperimentiamo come questa fiducia è fragile, come basta poco o nulla per perderla; la fiducia è proprio come quella piccola luce che quest’oggi ci viene consegnata e che ci ricorda la fiammella della candela del battesimo, una piccola fiammella che se non viene protetta e alimentata costantemente si spegne e ci abbandona alle tenebre del mondo, se invece curata può guidarci verso la meta della nostra vita, verso la realizzazione del nostro più intimo desiderio che è l’incontro con il Cristo.

In questa festa, dunque, facciamo esperienza di quanto le nostre relazioni possano essere fragili anche se i nostri atteggiamenti ci fanno apparire grandi e forti; l’immagine di Dio in questa candela invece ci offre la grandezza del Creatore nella fragilità di una fiamma che porta calore e offre una via a chi desidera percorrerla. Ti preghiamo quest’oggi Signore perché ogni uomo e ogni donna abbia l’opportunità di alimentare il desiderio di Te. Quelle piccole fiammelle d’Amore che abitano la terra possano incontrare le lampade spente e vuote dell’uomo stanco e sfiduciato o dell’uomo troppo pieno di sé, possano alimentarle ed accenderle nella Carità fraterna. Ogni uomo e ogni donna possa così sentirsi amato, accolto e cercato da te, Padre, Creatore e Redentore di tutto quanto esiste. Amen.

Con Gesù è sempre FESTA

19 gennaio 2025 | 2^ Domenica del Tempo Ordinario – anno C |

Is 62,1-5 | Sal 95 | 1Cor 12,4-11 | Gv 2,1-11

Con Gesù è sempre FESTA

Il tema su cui riflettere in questa seconda domenica del Tempo Ordinario, Pasqua della settimana, è la  “festa”.

Gesù inizia il suo ministero pubblico partecipando a una festa di nozze.

Il matrimonio rappresenta un cambiamento, una scelta, l’amore e la speranza.

È un cambiamento di vita per i coniugi che lasciano le loro famiglie originarie per formarne una nuova; è una scelta poiché tra le molte persone incontrate, gli sposi si sono scelti reciprocamente; è un segno di amore perché ciò che li unisce è l’Amore che li ha fatti incontrare e che li ha collocati al centro l’uno dell’altro; è un segno di speranza perché i due possono diventare molti, garantendo così un futuro alla loro storia e all’umanità.

Tuttavia, ogni matrimonio comporta un rischio: il vino può finire. Ossia, la magia dei primi tempi, quando l’innamoramento rendeva tutto magico e unico, può svanire, lasciando spazio alla routine quotidiana.

La parabola delle nozze, comprensibile da tutti, riflette la nostra vita di fede. Giovanni invita ogni credente a non fermarsi alla catechesi della prima comunione ma a proseguire nel sorprendersi quotidianamente per ciò che Gesù, lo sposo, può donarci. Il suo buon vino è ciò che rende la nostra esistenza sempre affascinante e il nostro rapporto con Lui festoso.

Purtroppo, spesso associamo erroneamente la gioia della fede a canti per bambini che, da adulti, non ci trasmettono più nulla di significativo. Il rapporto d’Amore tra Dio e l’uomo deve essere rinnovato quotidianamente, come ogni relazione d’amore. Ogni giorno siamo chiamati a riconoscere i nostri carismi per vivere pienamente questa relazione; ogni giorno dobbiamo riconoscere la vicinanza speciale di Dio, che ci accompagna e sostiene nei momenti di bisogno: con parole giuste, sguardi comprensivi, gesti affettuosi, situazioni commoventi o panorami affascinanti. Non importa il modo, ma possiamo sempre sperimentare il miracolo della Sua vicinanza che dona sollievo alla nostra vita.

Come notare questi segni? Semplicemente riponendo la nostra fiducia nelle Sue mani. Maria dice ai servitori delle nozze: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Immaginate la scena: Gesù dice loro di riempire le giare d’acqua e di e attingerla con le brocche per servire i tavoli … Eppure, questi uomini si fidano. Anche nella nostra vita ci imbattiamo in situazioni che apparentemente sembrano estranee a Dio, ma attraverso la fiducia nella Sua presenza, queste situazioni possono rivelarsi manifestazioni della presenza divina, volta a portare festa e gioia a ogni persona. All’inizio di questo cammino di fede ordinario che stiamo vivendo, lasciamoci sorprendere dai modi creativi con cui Dio si pone accanto a noi. Chiediamo al Signore di affinare i nostri occhi per riconoscerlo e i nostri cuori per accoglierlo. Amen.

… ed è ancora Epifania

12 gennaio 2025 | Battesimo di Gesù |

… ed è ancora Epifania!

Sono passati 30 anni da quel giorno in cui Maria e Giuseppe sperimentarono la Grazia di Dio entrare nelle loro vite: riconosciuta dai pastori, cantata dagli angeli, adorata dai Magi. In questi 30 anni sono successe tante cose: il battesimo con le prime profezie sulla Sua sofferenza; la fuga in Egitto; il ritorno a Nazareth; la perdita di Gesù a Gerusalemme quando lui aveva 12 anni; ma poi chissà quanti ricordi nella mente di Maria e di Giuseppe: chissà quanti pannolini cambiati, quante notti insonni, quante preoccupazioni per una malattia, per un malore, quante ginocchia sbucciate, tutti i perché a cui avranno dovuto rispondere, quante sgridate per i capricci … e la fatica dell’adolescenza …

Chissà, forse Maria e Giuseppe qualche volta si saranno chiesti quando questo Dio bambino (per loro questo era una certezza) avrebbe iniziato il suo “lavoro divino”, quando questa bella notizia finalmente si sarebbe rivelata platealmente al mondo e in che modo sarebbe successo.

A 30 anni Gesù probabilmente sente parlare di questo Giovanni, che tra l’altro era suo cugino, un tipo un po’ strano che predica un battesimo diverso da quello di tutti gli altri, parla di conversione, di perdono dei peccati, parla dell’imminente arrivo del Messia; Gesù è forse incuriosito o forse qualcosa lo attira in quella valle, lungo il Giordano. È così che Gesù si mischia alla folla, è così che Gesù si mischia a coloro che si riconoscono peccatori, e prega, si immerge in quell’acqua ma è già immerso nella preghiera. Forse è proprio qui che Gesù prende pienamente consapevolezza della sua missione, forse è proprio qui che Gesù sente dentro di sé la sua divina identità.

La bella notizia di cui parla il profeta Isaia è proprio questa ed è la stessa che abbiamo sentito il giorno del Natale: Dio si prende cura dell’uomo a partire dal basso, dalla profondità del peccato, per farlo risalire alla Gloria della santità.

Gesù non detta il suo messaggio dall’alto di qualche pulpito, Gesù mostra il suo messaggio stando in mezzo a coloro che si accorgono di aver bisogno di consolazione e quindi di salvezza.

È duplice, dunque, per noi il messaggio di questa epifania di Dio.

A noi che ci riconosciamo bisognosi di essere risollevati dalla polvere Dio stende il suo braccio e ci fa assaporare la sua presenza; e a noi che siamo in cammino accanto a Lui e che quotidianamente sperimentiamo la dolcezza della sua presenza chiede di divenire noi stessi Epifania di Lui. Già perché nel nostro battesimo siamo stati innestati in Cristo, nella sua morte e nella sua Risurrezione; i frutti di quel primo germoglio che oggi ricordiamo, il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, li possiamo raccogliere nelle nostre esistenze.

“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”; sono le parole con cui si esprime la manifestazione di Dio tra gli uomini, sono le parole che spingono Gesù a donarsi totalmente a quel Padre così lontano ma così vicino nell’Amore; oggi quelle parole sono per ciascuno di noi: Tu sei il figlio mio, l’amato. È questa la bella notizia che siamo chiamati a portare nel mondo, è questa la consolazione che Dio offre a ogni uomo e ad ogni donna della storia.

Nelle vostre vite siate epifania di Dio! Amen.