
Pellegrini di SPERANZA
Giornate di Ritiro Spirituale
UNA PAROLA DI SPERANZA
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani
(Rm 5,1-5)
1 Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 2Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. 3E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. 5La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Riflessione
“Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovare le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma”
(Spes non confundit, n°1).
È con queste Parole che anche noi ci lasciamo accompagnare all’inizio di questo pellegrinaggio che vivremo mensilmente quest’anno. Anche noi pellegrini di speranza ci lasciamo illuminare dalla Parola.
San Paolo, nella lettera ai romani, ci dice che l’opera di Cristo in noi, frutto della giustificazione, è il dono della pace ma anche l’accesso alla grazia, questo stato di grazia poi ci porta a vantarci in Dio.
Ma facciamo un passo alla volta.
Primo frutto della giustificazione dunque è la “pace” con Dio. Con troppa facilità i nostri occhi si soffermano sulle immagini dell’ira di Dio espresse nell’Antico Testamento, il Cristo sulla croce ci offre un volto nuovo di Dio, un volto difficile da comprendere, e forse proprio per questo nell’Antico Testamento ne parlano solo i profeti, il volto della pace, il volto della misericordia. Questa pace è il dono del Risorto agli apostoli (“pace a voi”), è il segno di perdono già concesso per quel rinnegamento avvenuto durante la passione e quindi per ogni peccato dell’umanità in ogni istante della storia. È questa la difficoltà da comprendere: chi non è giustificato non è perché Dio non lo vuole perdonare ma perché lui stesso non ha accolto il dono della misericordia offerto a ciascun uomo già dall’eternità. La pace di cui parliamo non è lo stato di equilibrio, di quiete che possiamo raggiungere nel nostro animo ma si tratta della pace di Dio, quella in cui ci troviamo immersi dall’eternità e di cui siamo resi partecipi attraverso la giustificazione di Cristo; è la pace che ci è donata da vivere con Dio mediante Gesù Cristo.
Secondo frutto della giustificazione è “l’accesso alla grazia” cioè all’amore immeritato e inaudito di Dio. Nel Figlio Gesù, Dio ha offerto sé stesso per riportare a sé ciascuno di noi. Nessun uomo è escluso da questo amore: il ladrone sulla croce, il centurione sotto la croce, lo stesso Pietro che per tre volte ha rinnegato di conoscerlo e quanti altri! Sono tutti esempi di uomini e donne come noi che, nella debolezza della propria umanità, hanno saputo lasciarsi amare e, attraverso questo amore accolto, hanno avuto accesso alla pienezza della grazia. Nel Padre c’è posto per tutti e per ciascuno dei suoi figli.
Terzo frutto della giustificazione è il “vanto” di Dio. Il punto di partenza è la fiducia profonda nella quale l’uomo si abbandona fiduciosamente come un bimbo nelle braccia del papà e della mamma; una fiducia che offre speranza anche nei momenti più difficili della propria vita; una fiducia che non può che manifestarsi nella professione solenne (Io credo Signore che tu non mi abbandonerai mai …) e nella lode (Grazie Signore perché mi ami). Il fondamento di questo vanto quindi non sta nell’uomo ma in Dio che precede sempre con il suo amore ogni suo figlio; non si tratta quindi di vantarsi davanti a Dio ma in Dio, nel suo Amore.
La vita del cristiano quindi non può che essere uno stato di gioia nella certezza che in Cristo il Padre non ci ha abbandonati ma ci accompagna in ogni nostro passo, nelle gioie e nelle tribolazioni. È proprio nelle fatiche dell’esistenza infatti il credente può fare esperienza di essere sostenuto dall’amore di Dio infuso dallo Spirito. Questo amore, rivelato dalla morte di Cristo per i peccatori e riversato nei nostri cuori, suscita la speranza della salvezza e l’allontanamento dell’ira.
Questa speranza quindi non è frutto di un nostro lavoro ma è dono gratuito di Dio, l’amore che ci raggiunge è il suo Amore eterno che, mediante lo Spirito, agisce costantemente nei nostri cuori.
Tempo di preghiera personale
Fermati e concediti del tempo per ascoltare ciò che lo Spirito dice al tuo cuore. Non c’è bisogno di fare tutto né di capire tutto. Fermati su ciò che lo Spirito ti suggerisce.
Per la riflessione puoi leggere anche i numeri dal 2 al 4 della Spes non confundit di papa Francesco.
Fermati e contempla il crocefisso, contempla la sorgente delle Spirito che vuole raggiungerti.
- Dio in questo momento ti sta offrendo la sua pace. Accoglila.
- Nonostante le tue miserie Dio ti sta offrendo da sempre il suo Amore. Accoglilo.
- Possiamo anche vantarci in Dio. Ringrazialo della Speranza che da senso alla tua vita.
Fai un dialogo a cuore aperto con Dio. Sentiti libero di dire a lui tutto ciò che in questo tempo dedicato alla preghiera hai maturato.
UN CAMMINO DI SPERANZA
Dal Vangelo di Luca
(Lc 24,13-32)
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”.
Riflessione
“… il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Anche nel prossimo anni i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare”
(Spes non confundit, n°5).
Il pellegrinaggio è il tema di questa giornata di ritiro.
Il vangelo che ci accompagna non poteva che essere quello dei pellegrini di Emmaus.
Questi due discepoli stanno compiendo un anti pellegrinaggio, non vanno verso la città santa ma si allontanano da essa. Sono tristi perché le loro aspettative sono state deluse. Il Dio che si è loro rivelato non era quello atteso.
È un rischio che dobbiamo correre!
Ogni pellegrino che si mette sul cammino ha un motivo che lo spinge e lo sostiene nella fatica, che gli fa superare il rischio, che lo indirizza verso l’ignoto. Al suo arrivo questo motivo è di norma svanito per lasciar spazio all’inatteso. Penso a chi inizia per esempio il cammino verso Santiago per conoscere gente, per smettere di fumare, per cercare una storia da scrivere, per realizzare un sogno … e poi si ritrova faccia a faccia con il volto misericordioso del Padre che lo accoglie con le braccia aperte.
Cosa è successo lungo il cammino?
Ha ascoltato la Parola di Dio: attraverso le scritture, attraverso la creazione, attraverso le storie degli uomini e delle donne che hanno camminato con lui. Questo ascolto lo ha plasmato, gli ha fatto ritrovare la meraviglia del suo essere Figlio amato.
È successo questo anche ai due pellegrini di Emmaus che, delusi da una vita ormai sgonfiata da ogni aspettativa fanno un cammino a ritroso, chissà, magari alla ricerca di qualcosa di perduto o nella speranza di incontrare ancora qualcuno che li indirizzasse sulla via giusta.
Anche in mezzo alle delusioni, anche quando la speranza ormai ci ha abbandonato del tutto, anche quando non sappiamo più a cosa pensare, la Parola ci raggiunge e ci scalda il cuore.
Anche noi siamo chiamati a lasciarci scaldare il cuore dalle parole del pellegrino per eccellenza che è Cristo. Noi, pellegrini di una speranza ormai spenta ci lasciamo accendere dalla Speranza in cammino accanto a noi.
Sono tante le vie che possiamo percorrere ma una sola è la via sulla quale siamo chiamati a camminare in questo anno giubilare: la via della nostra esistenza, quella stessa via che spesso ci fa gettare la spugna di fronte alle incomprensioni, quella stessa via che a volte sembra così ripida e impossibile da affrontare da soli; proprio su quella via e solo in quella via possiamo incontrare il Risorto e fare esperienza di casa, di fraternità, di Amore.
È con questi sentimenti che giungiamo alla meta del pellegrinaggio e, come i viandanti di Emmaus, non possiamo che riposarci con lui, accolti gratuitamente (per grazia) nella sua casa; in questa casa di nuovo possiamo sperimentare il fragrante gusto del pane e del vino, segni di accoglienza e di donazione continua facendo così memoria di quell’ultima cena in cui il Maestro si è donato per noi.
Ora, soltanto ora possiamo gioire per quel calore che sentivamo nel cuore e a cui non riuscivamo a dare un nome.
Quel nome ora possiamo urlarlo al mondo: Gesù, il Risorto, l’Amore che non ci ha mai abbandonato.
Tempo di preghiera personale
Fermati e concediti del tempo per ascoltare ciò che lo Spirito dice al tuo cuore. Non c’è bisogno di fare tutto né di capire tutto. Fermati su ciò che lo Spirito ti suggerisce.
Per la riflessione puoi leggere anche i numeri dal 5 al 6 della Spes non confundit di papa Francesco.
- Cosa ti spinge a proseguire giorno dopo giorno in questo pellegrinaggio che è la vita? Quale meta hai di fronte a te in questo pellegrinare?
- In quali momenti hai pensato di abbandonare il tuo pellegrinaggio? Cosa ti ha rimesso in cammino?
- Chiedi nella preghiera la grazia del desiderio di riposarti in Cristo, di sedere con lui alla mensa del suo Amore.
Fai un dialogo a cuore aperto con Dio. Sentiti libero di dire a lui tutto ciò che in questo tempo dedicato alla preghiera hai maturato.
IL SEGNO DELLA SPERANZA
Dal Vangelo di Luca
(Lc 2,8-20)
8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14“Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama“.
15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Riflessione
Mi sembra bello che il “segno” lasciato ai pastori sia un bambino, è segno di futuro, di speranza, è la realizzazione dei sogni di due innamorati …
Ma è anche strano che il “segno” in un racconto di annunciazione sia un bambino, di solito è un qualcosa che da garanzia della presenza di Dio, per esempio il mutismo di Zaccaria, che “segno” è quello di un neonato?
È il “segno” di un Dio che solidarizza con l’umanità che è nel bisogno: lui che è l’onnipotente si incarna in un bambino che ha bisogno di tutto e di tutti per poter sopravvivere! Come può essere vero? Come può questo diventare un “segno” per i pastori?
C’è poi un forte contrasto tra la gloria degli angeli e ciò che i pastori trovano nella grotta, come fanno a riconoscerlo? Dov’è il grande re?
Questo contrasto è il “segno” stesso, è il rovesciamento dei valori è la base della certezza cristiana: salvati dal crocefisso!
Questo bambino con la sua nascita in questa povertà è la prefigurazione di quello che sarà il suo insegnamento, il suo comportamento e la sua morte. Nato in mezzo ai poveri, vive senza “luogo dove posare il capo” (cfr. Mt 8,20b), muore in mezzo ai ladroni …
Di Maria si dice custodiva nel suo cuore e meditava tutti questi eventi.
Non si tratta di una raccolta di fatti per raccontarli poi quando Gesù sarà grande, non ha creato il book del piccolo Gesù, Maria conserva tutto nel suo cuore perché sa che il significato di ciò che vive non può consumarsi in ciò che comprende in quel momento; Maria vuole ritornare su questi fatti, vuole andare in profondità, questo è il processo di una fede che cresce e progredisce nella comprensione del Maestro divino.
Maria medita tutto questo, il termine greco usato è il termine synballein che significa mettere insieme/ravvicinare le parti.
Maria impegna tutte le sue energie intellettive e la sua volontà (cuore) per penetrare il mistero che porta nel suo profondo: gli eventi che sta vivendo, le parole che ha sentito … e tutto quanto accadrà in seguito, tutto la supera; Maria trascorre la sua vita a mettere insieme i pezzi con l’aiuto della Grazia per poterli carpire sempre meglio.
Questo termine è lo stesso che usiamo per chiamare il Simbolo della fede, il credo. Anche quello è un mettere insieme i pezzi che, simbolicamente, ciascun apostolo ha con sé per ottenere l’unico mistero della fede. È troppo grande questo mistero per poterlo conservare tutto insieme, ciascuno di noi nel conserva una parte, solo stando insieme, solo creando comunità possiamo vedere sempre più chiaramente la grandezza di Dio che ci ha raggiunto.
Maria diviene per noi tipo del discepolo che ascolta e mette in pratica e della Chiesa che vive della Parola che ha ricevuto da Dio.
Maria raggiungerà la sua fede piena soltanto al termine del suo viaggio accanto a Gesù, là, sotto la croce, assieme agli apostoli; solo l’evento pasquale può illuminare tutto ciò che ha conservato nel suo cuore per tutti quegli anni.
Tempo di preghiera personale
Fermati e concediti del tempo per ascoltare ciò che lo Spirito dice al tuo cuore. Non c’è bisogno di fare tutto né di capire tutto. Fermati su ciò che lo Spirito ti suggerisce.
- A noi che cerchiamo sempre grandi segni della presenza di Dio, il Vangelo offre la bella figura dei pastori che sanno riconoscerlo nella povertà di un neonato deposto in una mangiatoia perché nessuno lo ha accolto nella sua casa. Quanti poveri vivono accanto a noi, quanti ne incontriamo nelle nostre giornate … loro possono essere il segno della presenza di Dio nel mondo?
- Quante cose e quanti momenti di fede restano a noi senza un significato, quante volte davanti alla Parola non riusciamo a comprendere, quante domande avanti alla creazione che cresce e si manifesta nelle sue più svariate sfaccettature … come reagiamo in queste occasioni? Cosa ne facciamo di ciò che non comprendiamo?
- Ciascuno di noi ha la sua piccola parte di Dio dentro di sé. Quanto di questo mistero metto a disposizione della comunità? Quanto ho a cuore la forza e quindi l’unione della comunità cristiana. Contempliamo il bambino nella capanna, vediamo il crocefisso, chiediamo a Dio di lasciarci illuminare dalla luce della Pasqua per comprendere l’aurora del Natale.
Fai un dialogo a cuore aperto con Dio. Sentiti libero di dire a lui tutto ciò che in questo tempo dedicato alla preghiera hai maturato.
SEGNI DI SPERANZA
Dal Vangelo di Matteo
(Mt 25,31-46)
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.
Riflessione
Il brano di Matteo che ci accompagna oggi nella riflessione per tradizione porta il titolo “Il giudizio finale”; mi è sempre piaciuto poco questo nome in quanto apre le porte all’immagine di un Dio giudice che è lì pronto a premiare gli uni e a castigare gli altri. Poi in realtà entri nel testo e ti accorgi che le parole che ti sono regalate sono uno sprono per divenire sempre più “uomini”. Provo a spiegarmi meglio.
Quante volte sento parole di delusione dalle bocche di nonne o mamme (ma anche da nonni o papà, seppur con minor frequenza) a causa di un figlio o di un nipote che non va a messa. A questo punto di solito io entro un po’ a gamba tesa citando proprio questo brano di vangelo in cui vengono chiamati “giusti” non coloro che collezionano più punti sulla scheda delle presenze a messa e neppure coloro che sgranano più rosari nella vita o chi più si ricorda di dire le preghiere . Matteo, nel suo Giudizio finale pone come modello di salvezza (possiamo dire anche di santità), coloro che hanno saputo guardare gli altri uomini con occhi di compassione: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Quasi a dire che l’uomo non diventa santo se è religioso ma se trova la sua vera natura umana, una natura opposta a quella delle bestie. Le bestie infatti rispondono ai loro istinti di sopravvivenza, l’uomo invece sa mettere da parte l’istinto per rispondere ad altri tipi di esigenze, come per esempio sacrificare qualcosa di sé stesso per risollevare qualcuno che chiede aiuto. Non per niente Gesù si definisce Figlio dell’uomo che è l’opposto di figlio delle bestie!
Quanti segni di speranza possiamo trovare nel mondo!
Sono quelle che la tradizione chiama opere di misericordia.
Se noi guardiamo nel mondo possiamo trovare tanta misericordia offerta da tante persone che noi definiremmo “lontani da Dio” solo perché non li vediamo a messa alla domenica.
Per amare non c’è bisogno di avere fede, amare è una delle attitudini a cui l’uomo per natura è portato e io penso che sia questo a cui il saggio autore di Genesi faceva riferimento quando scrisse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26). Questo dominio, che è il prendersi cura, è proprio dell’uomo perché è proprio di Dio.
Il papa nella sua bolla di indizione del giubileo parla di segni di speranza e dice che è “necessario porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza” (n° 7).
Apriamo i nostri cuori, dunque, sui semi d’Amore che l’uomo di ogni cultura e di ogni credo sparge nella storia dell’umanità. Questo è il modo per guardare il futuro con speranza e quindi avere una visione della vita carica di entusiasmo (cfr n° 9)
Nessuno degli interpellati dal giudice del vangelo hanno avuto coscienza di aver aiutato o no il Signore, questo è interessante e conferma che non è necessario essere credenti per fare la carità, per amare le persone.
A volte capita di sentire fedeli della domenica che confessano di non aver fatto la carità, quasi che questa fosse un dovere da assolvere in cambio di qualche cosa. Il problema non è fare o no la carità, il problema è: quale sguardo hanno i tuoi occhi sull’uomo che passa acanto a te?
Questo Vangelo ci aiuta a scavare nelle profondità della nostra umanità per riscoprire l’origine che ci ha creati (l’amore) e lo scopo per cui siamo stati creati (amare), solo così saremo veramente realizzati, solo così potremmo con serenità incontrare lo sguardo amoroso del Padre.
Tempo di preghiera personale
Fermati e concediti del tempo per ascoltare ciò che lo Spirito dice al tuo cuore. Non c’è bisogno di fare tutto né di capire tutto. Fermati su ciò che lo Spirito ti suggerisce.
Per la riflessione puoi leggere anche i numeri dal 7 al 15 della Spes non confundit di papa Francesco.
- S. Agostino diceva: Ama e fa ciò che vuoi. La tradizione invece ci consegna una serie di doveri da assolvere per essere “buoni credenti”. Alla luce anche del Vangelo meditato, quale indicazione ti fa sentire meglio? È possibile trovare un modo per restare fedeli alla consegna della tradizione e allo stesso tempo vivere la fede di S. Agostino?
- Tieni lo sguardo sulle cose belle che accadono attorno a te. Al termine della giornata trova almeno una cosa per cui dire grazie.
- Quale sguardo hanno i tuoi occhi sull’uomo e sulla donna che ti passano accanto? Sono occhi di un giudice accusatore o di un padre amorevole?
Fai un dialogo a cuore aperto con Dio. Sentiti libero di dire a lui tutto ciò che in questo tempo dedicato alla preghiera hai maturato.